Gita a Venezia!!! (25-28 aprile 2013)

28 04 2013

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MANI PER TUTTI, TUTTI PER MANO!!!

9 03 2013

TORINO-BOLZANO DI NUOVO INSIEME!!!

oneDopo le vacanze estive e la grande impresa della Missione della scorsa primavera il nostro Gruppo Giovani si è rincontrato con il Gruppo Giovani di Bolzano il 09-10 Marzo a Onè (Verona)!!!

Questa avventura cominciata ormai 4 anni fa grazie all’impegno e alla perseveranza di Fra Beppe e Padre Davide continua ed io personalmente mi ritrovo ad attendere con ansia questi momenti in cui riusciamo a stare tutti insieme.

Abbiamo trascorso due giorni all’insegna dell’allegria per confrontarci su come poter essere meglio un Gruppo, per darci una mano a camminare insieme, per prendere esempio dall’amore di Cristo per noi, che ci “amò fino alla fine”. Anche noi dobbiamo imparare ad essere più indulgenti con chi ci è vicino e più generosi nel dare senza aspettarci per forza qualcosa in cambio.

Il confronto tra i nostri due gruppi ci aiuta a crescere facendoci capire dove e come potremmo migliorare, per far si che il nostro cammino proceda, ci rassicura sapere che purtroppo non solo nel nostro gruppo ci sono persone che si sono allontanate o capitano discussioni che possono creare delle divisioni, ma parlandone assieme, vedendo le situazioni dall’esterno, si cerca di capire dove si è sbagliato per cercare di non ripetere più gli stessi errori.

A volte nei nostri gruppi si passa un sacco di tempo insieme, ma non ci si conosce davvero, si tende a parlare o a stare sempre con le stesse persone, ma per stare bene insieme bisogna aprire gli occhi ed il cuore e conoscersi per capirci e per non avere incomprensioni bisogna aver coraggio e parlarsi chiaro, perché così facendo si possono scoprire delle bellissime persone e possono nascere delle fantastiche amicizie.

Ringrazio per questi momenti di Comunità, in cui si riesce a stare serenamente tutti insieme a collaborare l’uno con l’altro anche per le piccole cose come apparecchiare tavola o lavare i piatti. Non importa se viviamo tutto l’anno a chilometri di distanza e se le occasioni per vederci sono rare, basta rincontrarci ed il tempo sembra non essere passato.





INSIEME A BOLOGNA!!!

11 11 2012

bolognaUna parte del gruppo giovani è partito alla volta di Bologna per un incontro con i giovani bolognesi per approfondire la nostra conoscenza tra Giovani Domenicani e per parlare insieme del tema di Economia di Comunione.

L’accoglienza a Bologna è stata magnifica non solo da parte dei giovani, ma anche dei frati, che abbiamo tutti conosciuto l’anno scorso qui a Torino per la Missione, i quali sono nel convento di San Domenico per effettuare i loro studi di filosofia e teologia.

I giovani di Bologna sono un gruppo di ragazzi universitari e post universitari, fanno parte del gruppo anche due ragazzi che si sono sposati ed hanno dato alla luce il piccolo Tommaso ai cui tutti noi Giovani facciamo i migliori auguri.

Il Sabato è stato dedicato alla scoperta del capoluogo emiliano, i giovani ci hanno guidato per il centro storico parlandoci non solo della storia e dell’arte delle magnifiche Chiese e Monumenti di Bologna, ma anche delle abitudini e dei punti di ritrovo dei bolognesi.

La sera poi dopo una bella pizza insieme siamo andati alla scoperta della “Bologna by night”, la città è famosa per essere un polo universitario per cui è ricca di studenti che il sabato sera si ritrovano sotto i portici del centro, la particolarità che abbiamo notato e ci ha stupito è la divisione dei punti di ritrovo: infatti a Bologna ci sono vie in cui si ritrovano esclusivamente liceali, poi si attraversa una piazza e ci si ritrova in vie frequentate esclusivamente da universitari, poi ci sono vie per i post-universitari ecc… una città organizzata insomma.

La domenica mattina ci siamo ritrovati tutti insieme per approfondire, con degli esperti, il tema dell’Economia di Comunione, perché il nostro essere Cristiani e Domenicani si rispecchi nella vita di tutti i giorni, per non basare la nostra felicità solo su ciò che abbiamo materialmente, ma anche e soprattutto sugli affetti, perché le cose che ci rendono davvero felici in fondo sono gratis.

In questi pochi giorni a nostra disposizione, abbiamo potuto toccare con mano come sia bello poter essere una comunità anche se si vive a chilometri di distanza, come nonostante le età diverse sia importante avere un dialogo aperto per poterci arricchire l’un l’altro. Basta solo riuscire a tenere aperta la porta del cuore.





Ritiro Giovani MdR a Susa (TO) 15-16 Settembre 2012

24 09 2012




Io ci sto: con la testa e con il cuore

16 09 2012

Il weekend del 15-16 settembre scorso si è svolto a Susa il ritiro spirituale del gruppo giovani animatori MdR. E per la prima volta questo momento di condivisione fraterna ha visto anche la partecipazione del gruppo dei giovanissimi.

Già, perché da quest’anno i giovanissimi prenderanno parte a pieno titolo a tutte le attività dei fratelli “più grandi”.

E così, ospiti delle Suore Francescane Missionarie di Susa presso il Centro “Beato Rosaz”, tutti insieme abbiamo dato il “la” alle attività del nuovo anno, sotto la guida del super-collaudato padre Davide Traina o.p.

Tema del ritiro era l’aiuto verso il prossimo, il farsi vicini gli uni agli altri in maniera gratuita.

L’argomento è stato sviluppato per gradi. Si è cominciato il sabato pomeriggio con un gioco: prendendo spunto dalle recenti Paralimpiadi, i giovani, divisi in sottogruppi, si sono assunti ognuno un “handicap” e con questa limitazione hanno dovuto portare a termine una prova pratica aiutandosi a vicenda. Il gioco è stato divertente ma allo stesso tempo molto istruttivo. Come infatti è emerso nel dibattito che ne è seguito, tutti hanno constatato come anche il più semplice gesto quotidiano sia impossibile da compiere senza un qualche aiuto dall’esterno. Prenderne atto è servito a farci capire quanto un piccolo aiuto verso un fratello in difficoltà può essere determinante.

Dopo una deliziosa cena preparata con grande maestria dalle Suore, l’attività è proseguita con la visione del film “Un sogno per domani” di Mimi Leder, seguita da un breve momento di riflessione e di preghiera. Qui il tema dell’aiuto fraterno ha allargato i suoi orizzonti: se prima ci si è soffermati sull’utilità di un aiuto prettamente fisico, pratico, ora si aggiunge la consapevolezza che oltre quel gesto pratico si nasconde un desiderio di cambiamento radicale. Cambiamento di cosa? Del mondo, della vita di chi non riesce a farcela da solo, della durezza del cuore di molte persone che chiudono gli occhi di fronte alla sofferenza… Un piccolo gesto d’amore che riesce a colpire dritto al cuore chi lo riceve, il quale non riesce a fare a meno di trasmetterlo a sua volta ad altri, innescando una reazione a catena che spinge per arrivare fino ai confini del mondo.

Infine nella mattinata di domenica la riflessione si è spostata sulla dimensione cristiana analizzando la parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 30-37) attraverso l’omonimo dipinto di Vincent Van Gogh del 1890. È qui che il tema del nostro ritiro ha trovato la sua massima espressione: chi meglio di Gesù infatti può farci capire cosa significa essere amati? Chi meglio di Lui può insegnarci ad amare? Lui che per primo è stato amato da Dio e Lui che per primo ha amato gli uomini di un amore immenso, gratuito. È stato un insegnamento forte: i personaggi della parabola rappresentano tutte le nostre debolezze, le nostre indifferenze di fronte al male, ma anche il nostro farci vicino e aiutare il prossimo nel corpo e nello spirito. Alla lettura della Parola è seguito un dibattito volto ad attualizzare concretamente il racconto della parabola. Ognuno di noi si è sentito un po’ come il malcapitato, un po’ come il sacerdote indifferente, un po’ come il buon samaritano. Tutti aspetti che ci hanno aiutato ad aprire gli occhi sulla nostra vita quotidiana e che verranno sviluppati nel corso dell’anno.

Senza dubbio questo ritiro spirituale è stato per tutti un grande momento di fraternità, di condivisione e di divertimento. Il giusto mix per affrontare al meglio i nostri prossimi incontri!





Un motore chiamato DESIDERIO

11 09 2012

Parlare di “desiderio” a proposito della vita spirituale potrebbe suscitare disagio, ritenendo che lasciare libero corso a esso condurrebbe a una vita senza freni e schiava degli impulsi, disattendendo i valori scelti. Il desiderio potrebbe anche rievocare le sofferenze più forti ricevute nella vita: un affetto non corrisposto, un’amicizia tradita, un bel gesto incompreso, una serie di situazioni in cui l’apertura di sé e l’espressione di ciò che si aveva di più caro ha comportato ferite profonde. Da qui la tentazione di concludere che una vita senza desideri sarebbe più tranquilla, ordinata e stabile. Il desiderio non può essere cancellato così facilmente. Desideri e affetti, nel loro binomio inseparabile, costituiscono l’elemento basilare della vita psichica, intellettuale e spirituale, sono la sorgente di ogni attività; pur apparendo talvolta un insieme caotico e complicato, essi rimandano a realtà fondamentali e necessarie, che danno sapore alla vita, perché la rendono interessante, “gustosa”. San Tommaso associa con acume il desiderio allo stesso atto della vista, un’operazione essenzialmente selettiva, che si sofferma su ciò che cattura il cuore. Il desiderio occupa inoltre un posto fondamentale nella stessa rivelazione biblica, a differenza di altre tradizioni religiose, al punto da costituire un elemento specifico della relazione con Dio: “La perfezione suprema per il buddismo è “uccidere il desiderio”. Gli uomini della Bibbia, anche i più vicini a Dio, quanto appaiono lontani da questo sogno! Al contrario, la Bibbia è piena del tumulto e del conflitto di tutte le forme del desiderio. Certo, è ben lontana dall’approvarle tutte (…), ma in tal modo prendono tutta la loro forza e danno tutto il suo valore all’esistenza dell’uomo”. D’altra parte, tutte queste precauzioni e timori mostrano per contrasto la potenza e il ruolo del desiderio nella vita. Esso è veramente in grado di accendere tutto l’essere, dando gusto, forza, coraggio e speranza di fronte a decisioni e difficoltà. Come osserva R. May: “Il desiderio porta calore, contenuto, immaginazione, gioco infantile, freschezza e ricchezza alla volontà. La volontà dà l’auto-direzione, la maturità del desiderio. La volontà tutela il desiderio permettendogli di continuare senza correre rischi eccessivi. Ma senza desiderio, la volontà perde la sua linfa vitale, la sua vitalità e tende a estinguersi nell’autocontraddizione”. Spesso è proprio la mancanza del desiderio a costituire lo spartiacque tra un progetto riuscito, coerente e duraturo, e le mille velleità e buoni propositi. Il desiderio infatti, parafrasando lo psicologo Kubie, consente di attuare l’unico tipo di trasformazione duraturo, cioè “cambiare nella capacità di cambiare”: ciò consente di riportare ordine nel disordine. Quando il desiderio è vero, autentico, conduce a operare una radicale ristrutturazione, a “mettere ordine nella propria vita”, come direbbe sant’Ignazio, giungendo ad essere un uomo capace di gustare e godere di essa, in altre parole di essere contento. Ma che cosa si intende con il termine “desiderio”? E come è possibile riconoscerne la possibile autenticità e profondità? In ambito psicologico si distingue anzitutto “desiderio” da “bisogno”. Il desiderio, a differenza del bisogno, ha una radice più sottile e complessa, legata alla storia, alla memoria, agli affetti dell’individuo: esso ha anche a che fare con la fantasia e non è facilmente concretizzabile in un oggetto immediato, come avviene invece nel bisogno. Sarebbe dunque riduttivo identificare il desiderio col piacere o con l’appagamento sessuale; esso è piuttosto un elemento che attraversa tutti gli aspetti della vita, intellettuale, spirituale, relazionale, ludico. C’è un elemento di continuità nel desiderio che indica una direzione, un percorso, un senso al vivere, a differenza del bisogno che è puntuale, limitato, circoscritto e di breve durata. Ma è possibile elaborare una “graduatoria” dei desideri per riconoscerne la validità e la verità? La gravità di questi interrogativi, irrinunciabili, mostra, oltre all’importanza di conoscere i propri desideri, anche l’aiuto efficace che può giungere da un percorso di vita spirituale. È infatti nella lettura e interpretazione del desiderio che il discorso psicologico incontra alcuni elementi fondamentali della vita spirituale, come l’ascesi e la rinuncia: esse non sono da intendersi come nemiche del desiderio, ma come un percorso di verifica e maturazione di ciò che veramente vale, tralasciando quanto, pur attraente, toglie gusto alla vita, lasciando la persona in balìa del capriccio. Presupposto indispensabile a questo lavoro è la fiducia che i desideri profondi troveranno un loro compimento e una loro realizzazione adeguata. Ciò implica una concezione della vita e del mondo all’insegna dell’ordine e del senso, per cui valga quindi la pena impegnarsi e faticare. Non a caso il desiderio è anche un simbolo potente per riconoscere la presenza di Dio nella propria vita; lo stesso Vangelo può essere presentato come una fondamentale educazione ai desideri. Si pensi, per esempio, alla domanda iniziale di Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Che cercate?” (1, 38), una domanda che invita a fare chiarezza nel cuore prima della sequela. Anche nel contesto proprio del miracolo, Gesù rimanda al desiderio; quando si trova di fronte al paralitico della piscina di Betzatà gli chiede anzitutto: “Vuoi guarire?” (Giovanni, 5, 6). Non è una domanda scontata, e infatti il malato non vi risponde, ma continua a parlare dei problemi che gli sono familiari, i problemi della giornata tipica del paralitico. “Guarire” significa fare i conti con la paura di perdere una situazione magari disagevole ma nota, per iniziare una vita nuova. Perché ci sia un cambiamento non basta dunque “stare male”, essere esasperati: occorre soprattutto il desiderio convinto di introdurre una novità nella propria vita, essendo disposti ad affrontarne il costo. Ponendo questo interrogativo, Gesù invita a riconoscere che cosa è importante desiderare nella vita, come guida per ogni passo ulteriore, di guarigione e di salvezza. Come conoscere dunque la possibile verità e profondità del proprio desiderio? Un primo criterio di valutazione è la sua durata nel tempo. Il desiderio profondo non si spegne con il passare del tempo, ma anzi come il granello di senapa della parabola (cfr Marco, 4, 31 s) cresce sempre più. Le difficoltà e gli insuccessi solitamente non spengono il desiderio profondo, ma semmai lo rafforzano; è come quando si ha sete, se non si trova da bere, non per questo si rinuncia, anzi a un certo punto ciò finisce per occupare tutto il corso dei pensieri e dei progetti. Questa caratteristica era stata ben riconosciuta dai Padri della Chiesa. San Gregorio Magno riscontra nei tentativi di Maria Maddalena di trovare il Signore al sepolcro la dinamica del desiderio spirituale, che cresce e si rafforza nonostante le difficoltà: “Cercò dunque una prima volta, ma non trovò; perseverò nel cercare, e le fu dato di trovare. Avvenne così che i desideri col protrarsi crescessero, e crescendo raggiungessero l’oggetto delle ricerche. I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono è segno che non erano veri desideri“. Sant’Ignazio di Loyola compie la prima fondamentale esperienza di Dio ascoltando il proprio cuore e notando questa strana alternanza: i desideri mondani vengono assimilati facilmente, ma non hanno durata e alla fine lasciano vuoti, con l’amaro in bocca. Il desiderio di Dio (“andare a Gerusalemme a piedi nudi, non cibarsi che di erbe, praticare tutte le austerità che aveva conosciute abituali ai santi”) invece presenta inizialmente una certa resistenza, ma una volta accolto reca pace e serenità profonde, che durano nel tempo. Quando racconta quest’esperienza, erano trascorsi più di 30 anni, eppure il desiderio di Gerusalemme continuava a riempire e a infiammare il cuore di Ignazio. In secondo luogo è importante notare se da un desiderio ne nascono altri, che diventano di aiuto e stimolo per attuare altre cose, altrettanto buone. È la “circolarità” propria dello spirito: si nota, ad esempio, che intraprendere un’attività caritativa aiuta a vivere meglio altri momenti della giornata, come la preghiera, lo studio, le relazioni. È un’altra maniera di notare come il desiderio cresce con il tempo, pacificando e rasserenando.

Per poter compiere ciò è tuttavia indispensabile fermarsi e mettere una certa distanza rispetto al vissuto interiore. È come quando si vuole osservare nel suo insieme una città, una regione: occorre guardarla da lontano. Per sant’Ignazio questo momento di stacco nei confronti del vissuto era dato dall’esame di coscienza, un invito a rivedere la propria giornata da un punto di vista particolare, notando, ad esempio, i desideri che l’hanno accompagnata. La rilettura della propria vita è uno dei gesti più sacri e importanti che si possano compiere, un gesto purtroppo spesso disatteso, o attuato troppo tardi, prima di morire. Poterlo compiere con calma e, come suggerisce Ignazio, in spirito di ringraziamento, aiuta non solo a riconoscere i desideri profondi, ma anche a purificarli, vivendo diversamente i propri fallimenti. È importante comunque che questo confronto comprenda anche una persona esperta e istruita a proposito delle realtà spirituali. Tale persona dovrebbe essere soprattutto capace di ascolto: spesso non è necessario dire molte cose, perché chi racconta, nel momento stesso in cui parla, vede dispiegarsi davanti a sé il vissuto, raggiungendo quello che Ricoeur chiama “la propria identità narrativa”. Ci si conosce soltanto raccontandosi a un altro, in un contesto di gratuità accogliente, senza l’assillo del dovere o l’angoscia del giudizio. L’accompagnamento spirituale non è finalizzato a ottenere una risposta a buon mercato su di un problema immediato, ma è un lavoro lento, profondo e faticoso, di indubbio aiuto per la conoscenza di sé anche dal punto di vista umano. Un frutto prezioso di questa lettura è anche di saper imparare dagli errori commessi, una caratteristica, questa, propria dei santi. Come la scienza e la civiltà, anche la vita spirituale di ciascuno procede per tentativi ed errori; lo stesso peccato racchiude un insegnamento, e finché esso non viene colto, si rischia di restarne prigionieri. Quando invece si giunge a decifrare il valore simbolico di un desiderio che si presentava come “cattivo”, esso stranamente perde il suo potere “magico”, compulsivo verso il male, rivelando quel bene di cui si era da sempre alla ricerca, come avevano notato i maestri spirituali: “Una volta che si è messo a nudo il desiderio fondamentale – che è sempre desiderio di un assoluto d’amore – (…) i mille piccoli desideri apparentemente cattivi che gli servivano da esca perdono il loro potere di fascinazione e non sono più provati come una “vertigine” quasi irresistibile o come “pericolosi”, contrariamente a quanto sembravano essere prima“. Lungi dunque dall’essere preda del materialismo più sfrenato, il mondo dei desideri rimanda essenzialmente alla dimensione spirituale, trascendente, perché invita a uscire da se stessi, a elaborare un progetto, a scommettere su di esso, anche con sacrificio, portando a compimento quanto sta realmente a cuore, perché capace di dare senso, cioè significato e direzione, alla propria vita.

I Frati Predicatori (Domenicani)





La spiritualità viaggia on-line

3 07 2012

Siti cattolici, consigli spirituali, sacerdoti su Facebook e il Vaticano su YouTube… Come si vive la spiritualità al tempo di internet e delle nuove tecnologie.

Internet e Spiritualità





Dov’è la mia stanza?

11 06 2012

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno B)

“Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”

Sta per essere arrestato e ucciso il Maestro. I suoi non lo sanno, non se ne accorgono, sono troppo concentrati su loro stessi per vedere – davvero – ciò che sta per succedere. Gesù, invece, ha ormai piena consapevolezza che tutto volge al termine, che sta per compiere il dono più grande, il dono della sua stessa vita. Servirà? Capirà, l’uomo, che Dio lo ama liberamente, senza condizioni? Saprà l’uomo, infine, arrendersi all’evidenza di un Dio donato? Si avvicina la Pasqua: Gesù sa che non riuscirà a celebrarla con i discepoli. Decide di anticiparla, chiede ospitalità ad uno sconosciuto. In quella stanza al primo piano, sul monte Sion che sovrasta la città, di fronte al Tempio, Gesù sta per dare l’addio ai suoi discepoli, facendo loro il regalo più grande: la sua presenza eterna.

“Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”

Partecipi
Non sappiamo neppure il nome del tale il cui servo sceso ad attingere acqua incrocia in città i discepoli del Nazareno che lo seguono per chiedere al proprietario una stanza per celebrare la Pasqua. Gesù, però, considera sua quella stanza. Sua, perché vi resterà per sempre. Sua, perché chi accoglie il Maestro si vede trasformare la vita. Proprio come accade nelle nostre spente assemblee domenicali.

Tiepidezze
Dio, il misericordioso, mi ha dato molte gioie nella vita. Una di queste è il potere conoscere molte comunità, sparse nei quattro angoli dell’Italia, e di pregare con loro. Ho partecipato ad assemblee di comunità vivaci, coraggiose, a veglie di preghiera intense, a messe piene di gioia e di emozione. Raramente. Più spesso, partecipo a delle messe fiacche, tiepide, distratte, spente, esasperanti. Quante volte incontro degli amici che, avvicinatisi al Signore, convertiti alla e dalla Parola, faticano a nutrire la propria spiritualità in grandi città piene di chiese e povere di fede! Gesù, però, sceglie di fare “sue” anche quelle stanze. Non ha la puzza sotto il naso, il Signore, si adatta. Ha voluto con sé, nel momento più faticoso della sua vita, i suoi dodici poveri apostoli. Poveri e fragili come noi, instabili e lunatici come noi.

“Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”

Conversioni
Partecipiamo con costanza e forza alle nostre celebrazioni, anche se sbiadite. Se possibile, mettiamoci in gioco per cambiarle, per renderle più gioiose, accoglienti, oranti. Addobbiamola, la stanza alta, rendiamola accogliente al meglio delle nostre forze e delle nostre possibilità. Ma se ciò non è possibile, pazienza. Se si adatta Gesù, noi non ci adatteremo? Viviamo tempi difficili, tempi in cui la fede è messa a dura prova. Penso al dolore di tanti sacerdoti che si ritrovano a donare la loro intera vita per annunciare il vangelo e si ritrovano a fare i funzionari davanti a comunità pagane nei fatti, se non nelle abitudini! Oggi celebriamo il Mistero della presenza reale, concreta, attuale, salvifica di Cristo nell’Eucarestia: il Rabbì si rende accessibile, incontrabile, si fa pane del cammino, diventa cibo per l’uomo stremato.

Poca fede
Il problema è semplice: la nostra fede è poca, ridotta al lumicino. E allora la Messa è peso, fatica, incomprensione. Ma se crediamo che il Maestro è presente, al di là della povertà del luogo e delle persone, tutto cambia. L’Eucarestia diventa il centro della settimana, la Parola celebrata ritornerà in mente durante il lavoro e lo studio. E l’incontro con Cristo Eucarestia, con questo corpo dato, cambia inesorabilmente il modo di vivere, di pensare, di amare. È vero: c’è gente che fa il bene senza bisogno di andare a Messa. Ma per me, cristiano, il Bene deriva dall’incontro con Cristo. È vero: la preghiera può essere personale. Ma l’incontro della comunità ci fa sentire ed essere Chiesa. È vero: non tutte le omelie brillano per attualità e concretezza. Ma è la Parola al centro, non la sua spiegazione. È vero: la domenica è il giorno del riposo. Ma il riposo è affare di cuore, non di sonno.

Concludo con una citazione straordinaria dei martiri di Abitene.

Scoperti a celebrare l’Eucarestia, il governatore romano, indulgente, promise loro di avere salva la vita, a patto di non ritrovarsi più. Risposero: “Non possiamo fare a meno di celebrare il giorno del Signore”, e si fecero uccidere. Animo, resistenti nella fede, il Signore ci chiede di metterci in gioco.

“Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”





Messaggio alle Comunità Giovanili Domenicane

25 04 2012

Video-messaggio di Padre Davide Traina o.p. alle Comunità Giovanili Domenicane.





San Domenico di Guzman

20 03 2012

Benedetto XVI

udienza generale

Cari fratelli e sorelle,

la settimana scorsa ho presentato la luminosa figura di Francesco d’Assisi, quest’oggi vorrei parlarvi di un altro santo che, nella stessa epoca, ha dato un contributo fondamentale al rinnovamento della Chiesa del suo tempo. Si tratta di san Domenico, il fondatore dell’Ordine dei Predicatori, noti anche come Frati Domenicani.

Il suo successore nella guida dell’Ordine, il beato Giordano di Sassonia, offre un ritratto completo di san Domenico nel testo di una famosa preghiera: “Infiammato dello zelo di Dio e di ardore soprannaturale, per la tua carità senza confini e il fervore dello spirito veemente ti sei consacrato tutt’intero col voto della povertà perpetua all’osservanza apostolica e alla predicazione evangelica”. E’ proprio questo tratto fondamentale della testimonianza di Domenico che viene sottolineato: parlava sempre con Dio e di Dio. Nella vita dei santi, l’amore per il Signore e per il prossimo, la ricerca della gloria di Dio e della salvezza delle anime camminano sempre insieme.

Domenico nacque in Spagna, a Caleruega, intorno al 1170. Apparteneva a una nobile famiglia della Vecchia Castiglia e, sostenuto da uno zio sacerdote, si formò in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse nello studio della Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, al punto da vendere i libri, che ai suoi tempi costituivano un bene di grande valore, per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.

Ordinato sacerdote, fu eletto canonico del capitolo della Cattedrale nella sua diocesi di origine, Osma. Anche se questa nomina poteva rappresentare per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società, egli non la interpretò come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica, ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi: “Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità” (Omelia. Cappella Papale per l’Ordinazione episcopale di cinque Ecc.mi Presuli, 12 Settembre 2009).

Il Vescovo di Osma, che si chiamava Diego, un vero e zelante pastore, notò ben presto le qualità spirituali di Domenico, e volle avvalersi della sua collaborazione. Insieme si recarono nell’Europa del Nord, per compiere missioni diplomatiche affidate loro dal re di Castiglia. Viaggiando, Domenico si rese conto di due enormi sfide per la Chiesa del suo tempo: l’esistenza di popoli non ancora evangelizzati, ai confini settentrionali del continente europeo, e la lacerazione religiosa che indeboliva la vita cristiana nel Sud della Francia, dove l’azione di alcuni gruppi eretici creava disturbo e l’allontanamento dalla verità della fede. L’azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo e l’opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mète apostoliche che Domenico si propose di perseguire. Fu il Papa, presso il quale il Vescovo Diego e Domenico si recarono per chiedere consiglio, che domandò a quest’ultimo di dedicarsi alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico che sosteneva una concezione dualistica della realtà, cioè con due principi creatori ugualmente potenti, il Bene e il Male. Questo gruppo, di conseguenza, disprezzava la materia come proveniente dal principio del male, rifiutando anche il matrimonio, fino a negare l’incarnazione di Cristo, i sacramenti nei quali il Signore ci “tocca” tramite la materia, e la risurrezione dei corpi. Gli Albigesi stimavano la vita povera e austera – in questo senso erano anche esemplari – e criticavano la ricchezza del Clero di quel tempo. Domenico accettò con entusiasmo questa missione, che realizzò proprio con l’esempio della sua esistenza povera e austera, con la predicazione del Vangelo e con dibattiti pubblici. A questa missione di predicare la Buona Novella egli dedicò il resto della sua vita. I suoi figli avrebbero realizzato anche gli altri sogni di san Domenico: la missione ad gentes, cioè a coloro che ancora non conoscevano Gesù, e la missione a coloro che vivevano nelle città, soprattutto quelle universitarie, dove le nuove tendenze intellettuali erano una sfida per la fede dei colti.

Questo grande santo ci rammenta che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare! Ed è consolante vedere come anche nella Chiesa di oggi sono tanti – pastori e fedeli laici, membri di antichi ordini religiosi e di nuovi movimenti ecclesiali – che con gioia spendono la loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il Vangelo!

A Domenico di Guzman si associarono poi altri uomini, attratti dalla stessa aspirazione. In tal modo, progressivamente, dalla prima fondazione di Tolosa, ebbe origine l’Ordine dei Predicatori. Domenico, infatti, in piena obbedienza alle direttive dei Papi del suo tempo, Innocenzo III e Onorio III, adottò l’antica Regola di sant’Agostino, adattandola alle esigenze di vita apostolica, che portavano lui e i suoi compagni a predicare spostandosi da un posto all’altro, ma tornando, poi, ai propri conventi, luoghi di studio, preghiera e vita comunitaria. In particolar modo, Domenico volle dare rilievo a due valori ritenuti indispensabili per il successo della missione evangelizzatrice: la vita comunitaria nella povertà e lo studio.

Anzitutto, Domenico e i Frati Predicatori si presentavano come mendicanti, cioè senza vaste proprietà di terreni da amministrare. Questo elemento li rendeva più disponibili allo studio e alla predicazione itinerante e costituiva una testimonianza concreta per la gente. Il governo interno dei conventi e delle provincie domenicane si strutturò sul sistema di capitoli, che eleggevano i propri Superiori, confermati poi dai Superiori maggiori; un’organizzazione, quindi, che stimolava la vita fraterna e la responsabilità di tutti i membri della comunità, esigendo forti convinzioni personali. La scelta di questo sistema nasceva proprio dal fatto che i Domenicani, come predicatori della verità di Dio, dovevano essere coerenti con ciò che annunciavano. La verità studiata e condivisa nella carità con i fratelli è il fondamento più profondo della gioia. Il beato Giordano di Sassonia dice di san Domenico: “Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano” (Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum autore Iordano de Saxonia, ed. H.C. Scheeben, [Monumenta Historica Sancti Patris Nostri Dominici, Romae, 1935]).

In secondo luogo, Domenico, con un gesto coraggioso, volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica, e non esitò a inviarli nelle Università del tempo, anche se non pochi ecclesiastici guardavano con diffidenza queste istituzioni culturali. Le Costituzioni dell’Ordine dei Predicatori danno molta importanza allo studio come preparazione all’apostolato. Domenico volle che i suoi Frati vi si dedicassero senza risparmio, con diligenza e pietà; uno studio fondato sull’anima di ogni sapere teologico, cioè sulla Sacra Scrittura, e rispettoso delle domande poste dalla ragione. Lo sviluppo della cultura impone a coloro che svolgono il ministero della Parola, ai vari livelli, di essere ben preparati. Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa “dimensione culturale” della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa. In quest’Anno Sacerdotale, invito i seminaristi e i sacerdoti a stimare il valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate.

Domenico, che volle fondare un Ordine religioso di predicatori-teologi, ci rammenta che la teologia ha una dimensione spirituale e pastorale, che arricchisce l’animo e la vita. I sacerdoti, i consacrati e anche tutti i fedeli possono trovare una profonda “gioia interiore” nel contemplare la bellezza della verità che viene da Dio, verità sempre attuale e sempre viva. Il motto dei Frati Predicatori – contemplata aliis tradere – ci aiuta a scoprire, poi, un anelito pastorale nello studio contemplativo di tale verità, per l’esigenza di comunicare agli altri il frutto della propria contemplazione.

Quando Domenico morì nel 1221, a Bologna, la città che lo ha dichiarato patrono, la sua opera aveva già avuto grande successo. L’Ordine dei Predicatori, con l’appoggio della Santa Sede, si era diffuso in molti Paesi dell’Europa a beneficio della Chiesa intera. Domenico fu canonizzato nel 1234, ed è lui stesso che, con la sua santità, ci indica due mezzi indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Anzitutto, la devozione mariana, che egli coltivò con tenerezza e che lasciò come eredità preziosa ai suoi figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di diffondere la preghiera del santo Rosario, così cara al popolo cristiano e così ricca di valori evangelici, una vera scuola di fede e di pietà. In secondo luogo, Domenico, che si prese cura di alcuni monasteri femminili in Francia e a Roma, credette fino in fondo al valore della preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente l’azione apostolica! A ciascuna di esse rivolgo il mio pensiero grato e affettuoso.

Cari fratelli e sorelle, la vita di Domenico di Guzman sproni noi tutti ad essere ferventi nella preghiera, coraggiosi a vivere la fede, profondamente innamorati di Gesù Cristo. Per sua intercessione, chiediamo a Dio di arricchire sempre la Chiesa di autentici predicatori del Vangelo.